L’enigmatica Sigiriya e la meravigliosa Dambulla, tra natura, leggenda e stupore

Nel cuore dell’isola di Ceylon, sorge un’enigmatica formazione rocciosa. Sigiriya svetta con i suoi 370 metri di altezza su una rigogliosa pianura verdeggiante che si perde all’orizzonte. Sulla sommità pianeggiante del rilievo dalle pareti quasi perfettamente verticali, sorgono le rovine di un’antica civiltà.

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La leggenda narra che molto tempo addietro in questa regione vivesse Kasyapa, un uomo malvagio assetato di potere, figlio illegittimo di re Dhatusena di Anuradhapura e fratellastro di Mugallan, l’erede al trono del padre. Un giorno Kasyapa, accecato dalla sete di gloria e di potere, fece murare vivo il padre e tentò di uccidere il fratello che riuscì, invece, miracolosamente a salvarsi e a fuggire nella vicina India. Kasyapa, temendo il ritorno e la vendetta di Mugallan, cercò un luogo inespugnabile dove costruire la sua residenza e lo trovò in Sigiriya. Sulla sommità di questa roccia fece erigere una fortezza circondata da ampi fossati pieni di coccodrilli e un palazzo reale, destinato ai suoi piaceri personali. La capitale fu quindi spostata da Anuradhapura a SigiriyaKasyapa regnò per 11 lunghi anni. Mugallan, nel frattempo, riuscì a radunare un esercito e fece ritorno a Ceylon con l’intenzione di riconquistare il suo regno. Nel corso di una acerrima battaglia, Kasyapa salì in groppa a un elefante per raggiungere una posizione più favorevole. Ma il suo esercitò interpretò questo gesto come una resa e si diede precipitosamente alla fuga. Vedendosi perduto, Kasyapa si tolse la vita con la propria spada. Mugallan salì al trono, riportò la capitale ad Anuradhapura e cambiò la destinazione d’uso della fortezza che da quel giorno divenne un monastero.
La storia ci dice che dopo il XIV secolo il complesso fu abbandonato. L’archeologo inglese H. C. P. Bell ne scoprì per primo le rovine nel 1898. Nel 1907 l’esploratore John Still proseguì gli scavi. Nel 1982 il sito è stato proclamato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Sigiriya non svela facilmente i suoi segreti ed espugnarla vi costerà un po’ di fatica: per guadagnare la cima, dovrete arrampicarvi su ripidissime scalinate scavate nella roccia. Se come me soffrite di vertigini, vi servirà un lungo respiro e una buona dose di incoscienza, Non perdetevi d’animo! Dopo 1.600 gradini, la vista dalla cima su sconfinate foreste tropicali vi ripagherà di ogni fatica. Lungo la salita, godrete della compagnia di alcune simpatiche scimmiette che, incuriosite dai turisti, verranno ad osservarvi.

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Nel tragitto verso la vetta, si attraversa una lunga galleria coperta scavata nella parete rocciosa. Qui sono presenti affreschi in ottimo stato di conservazione che raffigurano donne conturbanti, con prosperosi seni nudi e una vita sottilissima che si crede rappresentino le apsara, ninfee celestiali, o più probabilmente le concubine di re Kasyapa. Oltrepassati i dipinti, si costeggia la parete rocciosa. Il sentiero è protetto sulla sinistra da un muro alto 3 metri, noto come Mirror Wall. Qui gli antichi visitatori, turbati dalle belle ninfee, sentirono l’urgenza di scrivere le proprie impressioni e lasciare qualche ammirato commento! Il sentiero sbocca poi in una grande terrazza dove si possono vedere i resti dell’antica scalinata che conduceva in cima. La scala passava tra le zampe di un leone e ne attraversava la bocca. La gigantesca statua costruita in mattoni e risalente al V secolo è da tempo scomparsa. Restano solo le zampe dell’animale e i primi gradini. Sigiriya, che significa montagna del leone, da qui prende il suo nome.

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A circa 20 km da Sigiriya sorge Dambulla, una città tutto sommato bruttina, ma celebre per il suo Tempio d’oro, noto anche come Tempio delle Grotte (Royal Rock temple). Questo complesso è entrato a far parte dei siti Patrimonio dell’Umanità secondo l’UNESCO nel 1991. Il tempio si trova a circa 160 metri sopra la strada nella zona meridionale di Dambulla ed è tuttora funzionante. Salendo, si gode di una bella vista sulla radura sottostante e in lontananza si scorge il complesso roccioso di Sigiriya.

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Nel circondario si contano oltre 80 cavità, ma le principali attrazioni sono conservate in 5 grotte non comunicanti tra loro che ospitano 153 statue del Buddha, 3 statue di re dello Sri Lanka e altre raffiguranti diverse divinità. Le grotte si trovano sotto una roccia sporgente e sono solcate da un canale di scolo che permette di mantenerle asciutte. Sono splendidamente affrescate e le pitture rupestri coprono una superficie di 2.100 mq. Rimarrete piacevolmente meravigliati.

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Si crede che Dambulla fosse utilizzato come luogo di culto già nel III secolo a.C. La leggenda narra che re Valagamba, scacciato da Anuradhapura dai chola dell’India del Sud, abbia trovato rifugio a Dambulla dove trascorse 15 anni. Quando finalmente riuscì a riconquistare il suo regno, in segno di gratitudine verso i monaci che lo avevano ospitato, trasformò le grotte in un tempio. I sovrani successivi continuarono la sua opera e aggiunsero altre decorazioni, affreschi e statue. Tra loro re Nissanka Malla fece dorare l’ingresso delle grotte. La grotta più grande, Maharaja Viharaya, misura 52 per 23 metri e nel punto di massima altezza raggiunge i 7 metri. Le sue squisite decorazioni vi lasceranno a bocca aperta!

Foto di Emiliano Allocco (Vedi altre foto di Emiliano su Flickr)

 

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Luang Prabang, il fascino intramontabile dell’antica capitale laotiana

Tutti si accorsero, già dal primo vagito, che Fa Ngum non era un bambino come tutti gli altri. Secondo la leggenda, nacque con trentatré denti e questo venne interpretato come un segno inequivocabile di cattivo auspicio. Il padre, disperato, interrogò tutti i migliori indovini del tempo, senza fortuna alcuna. Il verdetto fu implacabile. Il bambino venne bandito dal regno, fu adagiato in una cesta di vimini e abbandonato sulle acque del Mekong.
Miracolosamente il cesto giunse ad Angkor, l’antica capitale dell’impero Khmer. Il re di Angkor, appena vide il bambino, realizzò che non si trattava di un neonato qualsiasi. Decise di adottarlo e di crescerlo come suo figlio. Fa Ngum ricevette la migliore educazione del tempo e, una volta adulto, si maritò con una principessa Khmer, Keko Kant Ya. I due erano molto innamorati e felici, ma più il tempo passava più Fa Ngum avvertiva nostalgia di casa. All’età di 37 anni, insieme alla moglie, decise di intraprendere il viaggio che lo avrebbe riportato alle sue origini, a Luang Prabang. La coppia portò con sé un dono: una piccola statua d’oro del Buddha, realizzata in Sri Lanka oltre mille anni prima. La statua divenne il simbolo di Luang Prabang e il buddhismo la religione ufficiale di Lan Xang, il regno fondato da Fa Ngum sul quale governò 25 anni, fino alla morte della moglie quando, distrutto dal dolore, si ritirò a vita privata. La statua è visibile ancora oggi, fa bella mostra di sé al Palazzo reale cittadino.
Luang Prabang, l’antica capitale laotiana fondata da Fa Ngum, vi conquisterà. Questa città, adagiata alla confluenza tra i fiumi Mekong e Nam Khan, impreziosita da 33 wat (templi), riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità nel 1995, abbellita da edifici coloniali e colorata dalle tuniche zafferano dei monaci, vivace ma incredibilmente placida, vi affascinerà come poche altre città. E voi lasciatevi ammaliare.
Cominciate la vostra esplorazione dal mercato del mattino, un colorato susseguirsi di bancarelle, a pochi passi dal Palazzo reale, dove troverete gli avocadi più gustosi e i manghi più dolci. Giunti qua, recatevi a palazzo e ammirate la statua in lega d’oro del Buddha, alta 83 cm, che Fa Ngum portò in dono dalla vicina Cambogia.

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Proprio di fronte all’edificio, dall’altra parte della centralissima Th Sisavangvong, noterete una collina. Che ci fa lì? Ogni stranezza d’Oriente può vantare un racconto di origine popolare che cerca di darne una spiegazione, a volte sensata, spesso magica, sempre divertente.
L’origine della collina Phu Si, che con i suoi 100 metri di altezza domina il profilo del centro cittadino, sarebbe da imputare alla regina Sida che, colta da un’improvvisa quanto insaziabile voglia di funghi, convocò Hanuman, il re delle scimmie. Sida lo incaricò di recarsi in Sri Lanka e tornare da lei con un cesto di quei particolari funghi che erano soliti crescere solo sui monti di questo lontano paese. Hanuman tornò con una sporta ricolma di funghi, ma Sida lo rimandò indietro. Non erano quelli giusti. Dopo altri viaggi andati a vuoto, Hanuman implorò Sida affinché gli comunicasse almeno il nome dei funghi che tanto desiderava, per facilitargli la ricerca. La regina rifiutò. L’ortaggio era chiamato het sa noon che significa orecchio di scimmia e Sida era timorosa che Hanuman potesse offendersi. Esasperato, Hanuman si recò nuovamente in Sri Lanka, ma questa volta ebbe un’idea. Tagliò la cima di un monte e, una volta tornato a Luang Prabang, la adagiò proprio di fronte al palazzo reale e riferì alla sovrana che i funghi, che tanto desiderava, erano finalmente arrivati.
Armatevi di buona volontà e salite i 329 gradini che vi condurranno alla cima di Phu Si fino al That Chomsi, uno stupa dorato alto 24 metri. La vista della città da qua su è molto suggestiva. Incontrerete diversi templi salendo, il Wat Pa Huak, il Wat Thammothayalan, il Wat Siphoutthabat Thippharam e l’impronta del piede del Buddha impressa in una roccia. Se questa è davvero l’impronta lasciata dal Buddha, doveva essere un gigante!
Il Phu Si ospita un’area residenziale e il TAEC, un’interessante museo dove potrete approfondire la conoscenza delle culture tribali del Laos settentrionale. Annesso vi è uno shop di artigianato locale.

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Una volta ritornati in Th Sisavangvong, dove alla sera si tiene un bel mercato notturno di artigianato, visitate la zona di Xieng Mouane, un delizioso quartiere a due passi dal palazzo reale, immerso nel verde e abbellito da diversi wat, dove potrete scorgere ancora alcune tipiche abitazioni in legno, poggiate su tronchi di albero.

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Tra i molti wat presenti in città, merita una menzione speciale il Wat Xieng Thong che si erge nella penisola settentrionale. Questo antico monastero è costruito intorno a un sim (sala delle ordinazioni) del 1560. I bei tetti spioventi dell’edificio principale sembrano sfiorare il terreno e la parete esterna dell’edificio è impreziosita da un raffinato mosaico che raffigura l’albero della vita. Tutto intorno, si stagliano diverse stupe e tre piccole cappelle, hor. Poco oltre, all’altezza della confluenza tra il Mekong e il Nam Khan potrete attraversare un ponte di bambù, percorribile solo durante la stagione secca. Vi condurrà sulla riva opposta del Nam Khan, su una piccola spiaggia dove potrete godervi il tramonto sulla città.

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Molti turisti che si trovano a passare per Luang Prabang sono soliti prendere parte al Tak Bat, la questua mattutina dei monaci buddhisti. Questo rito antico si svolge immutato da secoli. Prima dell’alba, i monaci, avvolti nelle loro tuniche arancioni, escono dai templi e, nel corso di una lunga processione per le vie della città, raccolgono in urne tondeggianti il cibo offerto dai fedeli in attesa, seduti su bassi sgabelli o inginocchiati. Per lo più viene offerto del riso glutinoso, in alternativa vengono donati frutti o piccoli dolci che i monaci consumeranno nel corso della giornata in due pasti, la prima colazione e il pranzo. Dopo mezzogiorno, devono osservare un rigido digiuno fino al giorno successivo.
I turisti si riversano nella via principale, Th Sisavangvong e concorrono a rendere molto meno poetico questo rito. A tratti sembra un mercimonio. Repetita iuvant. Alcune semplici regole di buona educazione, affisse come promemoria all’ingresso di ogni tempio in città:

  • Partecipate attivamente al Tak Bat solo se questo ha un significato per voi. Non è folklore, rimane un importante rito religioso. Acquistate il riso al mercato mattutino e non dai venditori ambulanti lungo la via principale;
  • Se decidete di assistere, fatelo in silenzio e prendete posto sul marciapiede opposto a dove i fedeli attendono i monaci;
  • Scattate pure delle foto, ma non usate il flash, non ostruite la processione dei religiosi, non toccateli. Sembra ovvio, ma non chiedete a un monaco di farsi un selfie con voi;
  • Arrivate in Th Sisavangvong a piedi o in bicicletta. Se non potete fare a meno di recarvi sul posto in tuk tuk o scooter, parcheggiate una via più in là;
  • Non seguite la processione dei monaci a bordo di un tuk tuk. Nessuno dovrebbe essere in una posizione più alta rispetto ai religiosi;
  • Vestitevi in modo adeguato. Sono da evitare maglie scollate o senza maniche, minigonne e pantaloni sopra al ginocchio.

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Oltre alla città, ritagliatevi il giusto tempo per visitare anche i suoi meravigliosi dintorni. Ecco cosa fare nei pressi di Luang Prabang: Le grotte di Pak Ou, le cascate di Tam Kuang Si e un trekking nella giungla, a giro nei dintorni di Luang Prabang

Per scoprire un altro volto di Luang Prabang e dedicarvi a qualche attività meno turistica: Inseguendo un filo rosso: l’altro volto di Luang Prabang

Foto di Emiliano Allocco (Link a Flickr)

Le grotte di Pak Ou, le cascate di Tam Kuang Si e un trekking nella giungla, a giro nei dintorni di Luang Prabang

Luang Prabang, l’antica e affascinante capitale del Laos, merita di essere scoperta con la dovuta calma. Ma i suoi dintorni non sono di certo da meno, in quanto a bellezza. Esplorateli e non ne rimarrete delusi.
Iniziate il vostro giro dalle Grotte di Pak Ou che secondo la leggenda furono formate da un drago. Molto tempo orsono, si narra che un enorme drago abitasse qui e che fosse solito terrorizzare gli abitanti della zona. L’esercito cittadino si era dimostrato impotente ed era stato facilmente sconfitto dall’animale. Solo un valoroso principe, giunto da lontano, riuscì a sconfiggere il drago in un combattimento senza esclusione di colpi. Durante lo scontro, la coda della fiera ormai morente andò a sbattere violetemente contro le rocce calcaree che sorgono lungo il Mekong, originando quelle che ora sono note ai più come le Grotte di Pak Ou.
Le grotte possono essere raggiunte via terra, ma concedetevi un viaggio lento e incantevole in barca navigando le acque del Mekong. Le imbarcazioni che partono da Luang Prabang impiegano circa due ore a giungere a Pak Ou e solitamente fanno una sosta al villaggio Lao Lao di Ban Xang Hay, celebre per la produzione di un buon whiskey ottenuto dalla fermentazione e distillazione del riso, bianco e nero. La visita al villaggio prevede una seduta di assaggi.
In prossimità della confluenza tra il Mekong e il Nam Ou, presso Ban Pak Ousi trovano due grotte che si aprono nella parete rocciosa delle formazioni calcaree che costeggiano i fiumi. Entrambe ospitano al loro interno varie statue del Buddha. La grotta inferiore si staglia a strapiombo sul fiume. La grotta superiore si raggiunge salendo una ripida scalinata ed è profonda 50 metri circa. Abbiate cura di portare con voi una buona torcia elettrica.

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Fate ritorno a Luang Prabang e spendete il pomeriggio alle cascate di Tam Kuang Si che sorgono a 30 chilometri a sud-ovest della città. Ovviamente anche in questo caso è stata tramandata, fino ai giorni nostri, una leggenda che ne canta l’origine. Si narra che molto tempo addietro, un uomo si mise a scavare la terra dove ora si trovano le cascate. Dal suolo sgorgò, inaspettata, l’acqua che andò a formare il fiume Nam Si che a sua volta originò le cascate di Kuang Si. Il suono delle acque giunse lontano ed era così dolce e incantevole che richiamò qui molte persone dai villaggi vicini. Giunge in questa radura anche un cervo magico dal manto dorato che stabilì la sua dimora sotto un masso della cascata. Il cervo era visibile solo nelle notti di luna piena. Purtroppo un lieve terremoto, occorso nel 2001, fece crollare proprio il masso sotto il quale viveva il cervo, che si diede alla fuga. Non cercatelo, non abita più qua. Che peccato!
Kuang Si è una cascata a più livelli che cade da formazioni di rocce calcaree e origina una serie di piscine balneabili dalle acque turchesi, limpidissime. Vi sembrerà di aver trovato l’Eden.

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Lungo il sentiero che conduce alle cascate, vi imbatterete nel Kuang Si Rescue Centre, un centro gestito da  Free the Bears che si prende cura di una quarantina di orsi tibetani sottratti al bracconaggio. Questi animali sarebbero stati venduti alle fattorie della bile per soddisfare i precetti della medicina tradizionale cinese.

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Dopo questa lunga giornata, riposatevi e partite per un trekking il giorno dopo. Concedetevi una lunga camminata nei dintorni di Luang Prabang e visitate alcuni villaggi abitati da diversi gruppi etnici (Hmong, Lao, Khmu), addentratevi nella foresta e nella giungla. Sarà una giornata bellissima, immersi nel silenzio e nella natura selvaggia, brulla, ancora fieramente incontaminata. Non è mai da sottovalutare il potere rigenerativo di una giornata trascorsa così. È possibile scegliere trekking di un giorno o più giorni, con pernottamento presso i villaggi.
Non scrivo altro, lascio parlare le immagini.

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Anzi, aggiungo una piccola postilla a fondo pagina. Durante il vostro trekking, vi imbatterete spesso in ampie e vaste coltivazioni di alberi da gomma. Questa è la modernità che sta penetrando, lentamente ma non troppo, nel paese portando con sé l’economia di mercato. La gomma è destinata interamente all’esportazione e viene venduta alla Cina.
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Foto di Emiliano Allocco (Link a Flickr)