“Happy New Year”, la voce squillante di una cameriera ci ricorda che un nuovo anno è cominciato. Ci accomodiamo nella sala da pranzo dell’hotel e troviamo fiori freschi sui tavoli per celebrare questo nuovo inizio.
Abbiamo deciso di dedicare la giornata all’esplorazione dei mausolei dei sovrani della dinastia Nguyen (1802-1945), dislocati lungo le rive del Fiume dei Profumi, a sud di Hué. Quasi tutte le Tombe Reali furono progettate dagli imperatori stessi e alcune vennero usate come abitazioni quando questi erano ancora in vita. I vari mausolei hanno una struttura simile: comprendono di norma cinque elementi essenziali. Il primo è un padiglione che accoglie una stele celebrante i successi e la vita dell’imperatore defunto. Accanto sorge un tempio dedicato al culto dell’imperatore e dell’imperatrice. Il terzo elemento è solitamente un sepolcro cinto da mura, mentre il quarto è un cortile d’onore con statue in pietra che raffigurano cavalli, elefanti e mandarini. L’ultimo elemento è un piccolo lago ricoperto da fiori di loto e circondato da imponenti pini e alberi di frangipane.
Visitiamo tre tombe: quella dell’imperatore Tu Duc che ebbe 104 mogli e diede ordine di mettere a morte i 200 servitori che presero parte alla tumulazione delle sue esequie per timore di futuri saccheggi -ancora oggi non si conosce il luogo esatto dove Tu Duc è sepolto-; quella dell’imperatore Minh Mang che di mogli ne ebbe 500 (e mio marito che si lamenta di essere lui il martire!), ma preferì sempre la compagnia di uomini come ci dice sottovoce la guida e quella di Khai Dinh, il penultimo imperatore del Vietnam, poco amato perché considerato dal popolo un burattino nelle mani dei francesi.
Monumenti imponenti con giardini curatissimi e acque quiete che vogliono sfidare il tempo. Emblemi del peccato capitale dell’uomo di voler lasciare traccia di sé attraverso opere sfarzose, il tentativo di vincere la morte e l’oblio. La paura dell’anonimato diventata sfarzo. Siamo parti del tutto, di passaggio, non possediamo nulla, semmai prendiamo temporaneamente in prestito. Eppure da che mondo è mondo, ce ne dimentichiamo e gettiamo le nostre energie nello sforzo di possedere, nel tentativo vano che il nostro nome sia ricordato.
Una ciotola di riso e verdure e siamo pronti per il pomeriggio. Scivoliamo dolcemente sulle acque del Fiume dei Profumi e raggiungiamo la Pagoda di Thien Mu, arroccata su una collina a 4 chilometri a sud-ovest della Cittadella, simbolo della città e del Vietnam. Una pagoda ottagonale alta 21 metri che conta 7 piani, ognuno dedicato a un manushi-buddha (un buddha che si è manifestato sotto forma umana). Questa pagoda negli anni ’60 divenne simbolo delle proteste contro il governo di Diem.
Ritornati a Hué, ci perdiamo tra le sue vie senza una meta, una lunga passeggiata sotto la pioggia. Ceniamo in un chiosco sulla strada, spartano, uno di quei posti tipici dove le maniche si appiccicano al tavolo, frequentato da vietnamiti e evitato dagli occidentali. Ho ascoltato e letto commenti entusiasti su Hué, qualcuno l’ha addirittura definita la più bella città del Vietnam. In tutta onestà, non ne ho subito il fascino. Qui più che altrove mi sembra mal riuscito il connubio tra tradizione e modernità, tra il sacro e le kitschissime luci al neon. Troppi turisti, troppi locali alla moda occidentale, troppi negozi con musica urlata e scadente mercanzia in vendita, troppi procacciatori di clienti. Del fascino antico giunge appena un eco sussurrato. Un peccato per me che sono qua alla ricerca dell’altro, di qualcosa che non sappia riconoscere e che non mi sia famigliare. Forse siamo capitati in giorni sbagliati, troppo freddi e piovosi. Dovrei ritornare in una giornata di sole pieno per perdermi nei giardini della città e andare in esplorazione dei suoi dintorni in bicicletta. Chissà. Bisogna sempre seminare un pretesto per ritornare. Ecco il mio.
Forse sono semplicemente pronta a lasciare il centro del paese e ad avviarmi verso i paesaggi del nord. Domani si parte.
(Ph Emiliano Allocco)






