E tu lo sai che rumore fa il riso che cresce?

Caro blog, quanto tempo! È  trascorso quasi un anno dal nostro ultimo post. Allora affidavo alle tue pagine la storia tragica di Bophana e Deth, restituita alla memoria collettiva da una sublime Elizabeth Becker. Un amore intenso, con un epilogo drammatico, vissuto nella Cambogia dei Khmer rossi. 
E poi, lunghi mesi silenziosi. Perdona l´attesa. Che confusione! Sono stata a giro, questo sì, in molti modi diversi: con i pensieri, la lettura, gli amici, in bicicletta in Europa, inseguendo un filo rosso in Marocco, a degustare Napoli, sempre sulle orme di qualche forma d´arte. Ma tu eri un pensiero lontano e inopportuno. Ho creduto di non aver nulla da raccontare, che tutto fosse già stato narrato e, meglio, di quanto avrei potuto fare io.
Adesso, seduta su questa terrazza calda a Vientiane, ho riscoperto la voglia e la leggerezza di scrivere. Sul far della sera, quando la giornata si posa in fondo all´animo umano, mi è sovvenuto il pensiero di te, caro blog. Ti porto con me in giro per il Laos. Che ne dici, ricominciamo da qui? Senza pretesa alcuna, sarai un bel diario di viaggio a cui affidare impressioni e ricordi, parziali certo e non esaustivi, ma da catturare per fermare il presente, da rileggere in futuro, da confutare o magari confermare.
Dopo un lungo anno di lavoro e impegni, non potrei essere più felice di essere nessuno qui in questo piccolo paese dell’Indocina, senza sbocchi sul mare, protetto da impervi monti che lo separano dalla Cina e dal Vietnam, adagiato sulle rive del Mekong. Un paese resiliente, che nonostante guerre, invasioni e pressioni esterne, resiste, mantenendo la propria identità, una lentezza irreale, un´aura antica e un ritmo di vita a misura d´uomo.
È liberatorio lasciare il proprio ruolo a casa, sbarazzarsi della necessità così occidentale di una perenne corsa frenetica  e riscoprirsi senza maschere, almeno per un po’.
“I vietnamiti piantano il riso, i cambogiani lo guardano crescere, i laotiani ascoltano il riso che cresce” recita un detto risalente ai tempi del colonialismo. Caro blog, andiamo a scoprire che rumore fa il riso mentre fiorisce.

Scopri la storia di Bophana e Deth: L’amore ai tempi dei Khmer rossi

Foto di Emiliano Allocco (Guarda le foto di Emiliano su Flickr)

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L’amore ai tempi dei khmer rossi, storia di Bophana e Deth

Bophana nacque nella Cambogia degli anni ’50 nella regione nord occidentale del paese, un’area fertile e verdeggiante dove crescevano rigogliose le palme da zucchero, il riso abbondava e il fiume Tonlé Sap era ricco di pesci. Il padre era un insegnante nell’East Baray. Bophana ricevette una buona educazione, imparò il francese e crebbe nella fede buddhista. All’età di 16 anni si innamorò di un lontano cugino, Ly Sitha. L’amore era ricambiato e le famiglie autorizzarono l’unione. Ly Sitha terminò gli studi superiori presso un monastero buddhista. Una volta tornato a casa, si unì a Bophana nei preparativi delle loro nozze. Non fecero in tempo a sposarsi che la Cambogia precipitò in un incubo. Il re Sihanouk fu deposto da un colpo di Stato e fuggì all’estero. Furioso, in un messaggio radio dalla Cina, diede il proprio sostegno alla fazione dei khmer rossi. Gli Stati Uniti d’America appoggiarono il nuovo governo di Lon Nol, i comunisti del Vietnam fecero l’opposto fornendo supporto ai khmer rossi.  La guerra, dal Vietnam e dal Laos, arrivò anche in Cambogia. L’esercito cambogiano, il cui acronimo era FANK, venne sconfitto in Baray. Per il resto della guerra questa regione sarà nelle mani dei comunisti. La famiglia di Bophana dovette separarsi. Ly Sitha diventò un monaco novizio per sfuggire all’arruolamento e disse addio alla sua amata. Bophana, nel caos del momento, venne stuprata da un soldato della FANK. Un paio di mesi più tardi scoprirà di essere incinta. La guerra fece di lei una madre sola e una profuga. Si trasferì con le sorelle a Phnom Penh dove sopravvisse vendendo i pochi averi della famiglia al mercato centrale. Nel frattempo si diede da fare per cercare un lavoro fisso, senza però alcuna fortuna. Gaetana Enders, la moglie italiana dell’ambasciatore americano Thomas Enders, fondò una charity per aiutare le vedove di guerra. Bophana senza esitazioni bussò alla porta dell’organizzazione con il figlio appresso. Poco tempo dopo venne assunta, imparò velocemente l’inglese e lavorò come interprete. Un giorno al Wat Lanka riconobbe tra i monaci in preghiera Ly Sitha. Non c’erano speranze per il loro amore e furono costretti a separarsi una seconda volta.
Il 17 aprile 1975 i khmer rossi espugnarono Phnom Penh e ne ordinarono l’immediata evacuazione, tutti dovevano fare ritorno ai propri villaggi d’origine. E Bophana si incamminò verso il Baray, dove venne costretta a duri lavori forzati. Nella Cambogia dei khmer rossi erano vietate comunicazioni con l’esterno, le frontiere vennero chiuse, il denaro e i commerci aboliti, le pagode dismesse, letterati medici insegnanti e monaci erano guardati con sospetto perché rappresentanti del vecchio potere. Nella Kampuchea Democratica la fedeltà ad Angkar, l’organizzazione, era tutto. Il mito dell’autosufficienza del paese veniva propagandato senza sosta e il lavoro aveva un’importanza centrale.
Ly Sitha riapparve nella vita di Bophana un giorno senza preavviso. Non indossava più la kesha dei monaci, ma vestiva l’uniforme nera dei khmer rossi. Adesso si faceva chiamare Deth e lavorava per il Ministro dell’Economia a Phnom Penh. Aveva usato la propria posizione per ritrovare l’amata. L’aveva cercata per tutta la Cambogia. Disse a tutti che Bophana era sua moglie e riuscì ad ottenere per lei mansioni meno faticose e dosi di cibo più abbondanti. Deth dovette fare ritorno a Phnom Penh. I due amanti si scambiarono una fitta, struggente e meravigliosa corrispondenza d’amore. Entrambi erano consapevoli del rischio che correvano: le lettere private erano vietate. Appena possibile Deth faceva ritorno in Baray. A causa di un raccolto misero, le condizioni di vita per i lavoratori si inasprirono ulteriormente. Bophana si accorse di essere incinta, ma per il troppo lavoro e il poco cibo perse il bambino a gravidanza avanzata.
Accidentalmente la corrispondenza tra Deth e Bophana venne scoperta. Deth fu giustiziato. Tra i capi di imputazione a suo carico figuravano l’aver ricevuto illegalmente lettere d’amore, l’aver nascosto la propria istruzione (le missive erano scritte in francese, inglese o khmer) e soprattutto l’aver amato una donna più di Angkar e della rivoluzione.
Bophana venne arrestata, condotta a Phnom Penh e imprigionata nel carcere di massima sicurezza S-21 (per saperne di più) dove giunse il 10 ottobre del 1976. Per cinque mesi fu brutalmente torturata e costretta a “confessare” di essere una spia della C.I.A. Alla fine fu uccisa e gettata in una fossa comune. Aveva 25 anni ed era colpevole di essere una donna forte, indipendente e di aver osato amare.
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La storia di Bophana fu scoperta da un’altra donna coraggiosa, la giornalista statunitense Elizabeth Becker, che la ripercorre in un breve libro monotematico e in When the war was over, un romanzo interamente dedicato alla Cambogia dei khmer rossi.
Da questo romanzo è stato tratto un film, girato in lingua khmer, che viene proiettato due volte al giorno al Museo del genocidio, ex S-21. Il regista, Rithy Panth, ha fondato  anche il Bophana Audiovisual Resource Center che recupera e conserva materiale audiovisivo sulla storia recente della Cambogia.
Duch, il comandante di S-21, è uno dei pochi appartenenti ai khmer rossi ad essere stato portato di fronte a un tribunale nel 2008. E’ stato condannato all’ergastolo.

A sud dove il mare è più blu: qualche giorno di riposo a Sihanoukville

Dopo un lungo viaggio regalatevi qualche giorno di riposo. Nulla è meglio del mare per ristabilire equilibri persi, ricaricare le batterie e ritrovare un po’ di pace interiore. Almeno per me funziona così. Dopo la fatica della scoperta della Cambogia, mi sono recata a Sihanoukville nel sud del paese, capoluogo della provincia di Preah Sihanouk. E’ tempo di relax.
Sihanoukville fu fondata negli anni ’50 strappando un lembo di terra alla giungla per volere dell’ultimo re della Cambogia, Sihanouk, che intendeva farne il più importante porto a pescaggio profondo del paese e un porto marittimo cruciale per evitare che i traffici internazionali continuassero a passare attraverso il delta del Mekong nel vicino Vietnam. In tutta onestà è una città brutta, turistica, caotica, troppo mondana, in continua espansione. Nuove costruzioni sorgono velocemente per poter dare ospitalità a un numero sempre crescente di turisti. Ma non disperate. Se volete evitare il caos, non recatevi nella zona centrale di Serendipity Beach. Con una corsa in tuk tuk, dirigetevi a sud e raggiungete Otres beach a circa 5 km dal centro città. Qui la spiaggia è bianca, il mare cristallino e l’ombra dolce delle piante di casuarina vi darà ristoro dal caldo. La spiaggia è lunga 4 km, stranamente poco affollata e decisamente piacevole. Se camminate ancora verso sud troverete per certo un angolo isolato dove fermarvi.

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Prendete il sole, riposate, leggete, fate lunghi bagni. Se volete essere più attivi, vi è la possibilità di fare snorkeling o una gita in barca alle isole vicine. A 15 km a est di Sihanoukville sorge il Parco Nazionale di Ream che vi offrirà la possibilità di fare trekking nella foresta o di raggiungere in barca spiagge incontaminate navigando tra le mangrovie. Scegliete agenzie turistiche che promuovono gite ecologiche. Noterete purtroppo come il Parco Nazionale, sebbene sia un’area protetta, sia seriamente minacciato dal turismo.
Al largo delle coste di Sihanoukville si combatté per gli Stati Uniti d’America l’ultima battaglia ufficiale della guerra del Vietnam. Il 12 maggio del 1975, due settimane dopo la caduta di Saigon, la nave container statunitense Mayagüez stava raggiungendo la Thailandia da Hong Kong quando cadde in mano ai khmer rossi. Il presidente americano Gerald Ford bollò l’accaduto come un vero e proprio atto di pirateria. I 39 membri dell’equipaggio vennero segretamente fatti sbarcare a Sihanoukville. Tre giorni più tardi l’esercito statunitense si lanciò nell’attacco della Mayagüez ma la nave era deserta. L’equipaggio era stato imbarcato su un peschereccio thailandese e mandato alla deriva. Della liberazione si seppe quando l’attacco era ormai stato sferrato.

Foto di Emiliano Allocco (link a Flickr)

 

Battambang, la città del bastone perduto: cosa vedere in un giorno

I suoi abitanti con fierezza asseriscono che la provincia di Battambang produca il riso più delicato, le noci di cocco più dolci, le arance più succose e i manghi più saporiti. Di certo l’area è una zona molto fertile e la provincia viene spesso soprannominata la ciotola di riso della Cambogia. Confina con la Thailandia e a est si affaccia sul lago Tonlé Sap.
Il capoluogo, l’omonima città di Battambang, è adagiata lungo il fiume Sangker che sgorga dai vicini Monti Cardamomi. Ha il fascino decadente delle ex città coloniali. In Cambogia c’è una storia per tutto e ce ne sono addirittura un paio che narrano la fondazione della città. Il nome di Battambang si crede derivi da bat, “perdere”, e dambang, “bastone”. Secondo una leggenda un antico re khmer lanciò il suo bastone dalla città di Angkor fino a Sangker, nell’area dell’odierna Battambang, dove si sarebbe perso. Secondo un’altra versione, la fondazione della città risalirebbe a un contadino che un giorno, mentre pascolava il suo gregge di vacche, trovò un bastone e si accorse ben presto che aveva poteri magici che usò per spodestare il re e impadronirsi del trono. Il principe ereditario riuscì a fuggire nella giungla e si unì ad un gruppo di monaci. Un indovino predisse al nuovo re che il suo regno sarebbe durato 7 anni, 7 mesi e 7 giorni e che un saggio a dorso di un cavallo bianco, vestito con abiti regali arancioni, lo avrebbe scacciato. Decise di mandare a tutti i saggi del paese un invito per recarsi a corte. Con l’inganno li avrebbe poi fatti uccidere. Anche il principe ereditario si mise in cammino. Lungo la strada incontrò un viandante che gli offrì il proprio destriero bianco e una veste arancione in modo che potesse presentarsi degnamente al sovrano. Appena giunto a corte il re lo riconobbe e scagliò il suo bastone contro il giovane, ma lo mancò e finì lungo le rive del Sangker. Il re si diede alla fuga e il principe riconquistò il governo della città. Quale versione vi piace di più?
Quando entrerete a Battambang vedrete nella rotonda principale una statua che rievoca la fondazione mitica della città.

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Cosa fare a Battambang se avete un solo giorno a disposizione?
Andate sul sito www.ka-tours.org e scaricate gratuitamente l’itinerario delle passeggiate nella zona storica della città. L’organizzazione KA Architecture Tours in collaborazione con le autorità cittadine di Battambang ha creato questi itinerari dedicati sia al periodo francese sia all’architettura degli anni ’60. Questo vi impiegherà mezza giornata all’incirca.
Da non perdere la Residenza del Governatore, un bell’edificio a due piani con persiane in legno. Fu progettato da un italiano per volere dell’ultimo Governatore thailandese di Battambang che abbandonò la città nel 1907.
Affittate poi una bici e recatevi appena fuori città a visitare il Wat Ek Phnom, un bel tempio con pregevoli bassorilievi. Godetevi il paesaggio lungo la via e la vista di risaie, villaggi e vita rurale.
Battambang è la base ideale se siete interessati a vedere il treno di bambù, una struttura in bambù lunga 3 metri e appoggiata su due carrelli. Il veicolo era usato come mezzo di trasporto (poteva portare fino a 3 tonnellate di riso) e raggiungeva una velocità di 15km/h. Era un sistema di trasporto a binario unico. Quando due vagoni si incontravano quello con il carico minore veniva rapidamente smontato e spostato accanto al binario per far passare l’altro. Il treno di bambù è ormai obsoleto ma resiste come attrazione turistica. La struttura originaria è stata eliminata. Un binario di qualche centinaia di metri è stato ricostruito ad uso esclusivo dei turisti. Noi abbiamo scelto di non visitarlo e di recarci invece all’ospedale che costruì Emergency (https://www.emergency.it/) a Battambang e che dal 2012 è passato in gestione alle autorità locali.
La Cambogia è stata duramente segnata dalla guerra. Si stima che nel paese siano ancora disseminate tra i 4 e i 6 milioni di mine antiuomo e che serviranno 200 anni per bonificare le campagne. Tutto è reso più complicato dalle forti piogge e dagli smottamenti del terreno. L’uso delle mine iniziò con gli americani che tentarono in questo modo di interrompere il sentiero di Ho Chi Minh. Una fascia di terra lunga 700 km al confine con la Thailandia è stata minata dall’esercito vietnamita. Dopo il ritiro dei vietnamiti, altre mine ancora vennero disseminate un po’ ovunque dal governo e dai khmer rossi. La guerra continua quindi a mietere ancora vittime innocenti in una nazione ora in pace. Nel paese vivono 40.000 mutilati. Li vedrete nelle campagne e agli angoli delle strade. Ogni mese in media 15 cambogiani perdono la vita o un arto saltando su una mina. Dal 1998 al 2012 Emergency ha edificato e gestito un Centro chirurgico a Battambang intitolato ad Ilaria Alpi, cinque posti di primo soccorso nel distretto di Samlot e due cliniche mobili per prestare assistenza alle vittime delle mine e per la cura di malattie quali la malaria, la tubercolosi e il tifo. Emergency ha curato 383.762 persone (dati al 30 giugno 2011). In un paese rimasto senza medici e infermieri, sterminati perché distanti dal folle ideale rurale della rivoluzione di Pol Pot, Emergency ha giocato un ruolo cruciale in una delle aree più martoriate dalle mine. Da sostenitrice di Emergency è stato un onore poter vedere un’ospedale dell’associazione. Grazie!
Nel 1997 oltre 100 paesi, tra i quali la Cambogia e l’Italia, hanno sottoscritto il Trattato di Ottawa che vieta la produzione, il deposito, la vendita e l’uso delle mine antiuomo. I principali tre paesi produttori di mine, Cina, Russia, Stati Uniti, non hanno siglato l’accordo.

Come sopravvivere a Siem Reap

Siem Reap è la base ideale dove fare tappa se si è interessati a visitare il sito di Angkor. E’ una città caotica, turistica, poco poetica, artificiosa e a tratti pacchiana. Il primo impatto non è stato decisamente buono per me, ma la visita ad Angkor vi permetterà di sopportare il turismo a tratti cafone di Siem Reap.
Bando ai pregiudizi, affittate una bicicletta e fate un giro in città. Concedetevi la possibilità di cambiare opinione e di essere smentiti da Siem Reap. Almeno così ho fatto io. Mi sono ricordata del buon Tiziano Terzani e di quanto scriveva in Un indovino mi disse: “Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare”.
Quindi con una pala metaforica, una bicicletta a disposizione e una mappa della città mi sono messa a scavare!
Cosa fare a Siem Reap?
Innanzitutto recatevi in Street 60 e procuratevi i biglietti per Angkor. Dovrete arrivare al sito di Angkor esibendo già i biglietti. Banalmente i biglietti per Angkor non si acquistano ad Angkor!
Tornate in centro e fate un giro al Psar Chaa, il mercato vecchio della città. Visitate il Wat Dam Nak che fu la residenza reale durante il regno del sovrano Sisowath. Oggi l’edificio ospita il Centre for Khmer Studies, un’istituzione indipendente che promuove lo studio della cultura khmer. E’ possibile accedere alla biblioteca di ricerca. Vi sarà richiesto di registrarvi all’ingresso. Vale la pena recarsi al Wat Thmei dove è stato eretto uno stupa commemorativo che contiene teschi e ossa delle vittime dei khmer rossiWat Thmei venne trasformato in una prigione dal regime e qui circa 8.000 persone vennero barbaramente uccise.

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La parte più moderna e mondana della città è sicuramente formata dal Night Market, da Pub Street e da King’s Road. Qui troverete locali alla moda, ristoranti internazionali, bar, pub, bancarelle e negozi di souvenir e oggettistica.
E’ sempre difficile orientarsi in una nuova città e consumare in modo responsabile. Vi aiuterà di certo visitare la sede di ConCERT in 306 Street 09 Siem Reap, un’organizzazione che mette in contatto i turisti con progetti filantropici condotti in zona. Sul sito dell’associazione trovate informazioni utili su diverse tematiche, dall’ecoturismo, al volontariato, al comportamento da tenere quando si incontrano bambini per strada che chiedono l’elemosina (http://concertcambodia.org/).
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In Street 60 sorge AHA Fair Trade Village, un mercato di artigianato locale. Qui potrete acquistare souvenir cambogiani prodotti in Cambogia. Sembra banale, ma non lo è. All’AHA Village ho appreso che Siem Reap ospita 5.000 artigiani, ma che l’80% dei souvenir in vendita in città è importato da paesi vicini (principalmente Cina e Vietnam) o fatto su scala industriale. Siem Reap è la terza provincia più povera del paese. Più di 4 milioni di cambogiani vivono con meno di $1,25 al giorno e l’80% della popolazione vive in zone rurali. Ogni anno i turisti spendono all’incirca $100 milioni in souvenir nella sola Siem Reap. AHA si impegna ad aiutare gli artigiani e le comunità locali ad avere la giusta remunerazione. Cercate il simbolo dell’associazione nei negozi che vendono souvenir.
In città ci sono altri esercizi che promuovono un commercio equo e rispettoso, tra questi IKTTMekong QuiltsI, Rajana Smateria. Anche se siamo solo di passaggio, proviamo a lasciare un’impronta positiva. Orientarsi nella giungla del turismo e di un consumismo sfrenato è tutto tranne che facile.
Dedicate all’esplorazione della città mezza giornata e poi recatevi a visitare il sito di Angkor senza rimpianti (Il paradiso in terra, in bici tra i templi di Angkor).

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 Foto di Emiliano Allocco (link a Flickr)

Sambor Prei Kuk, alla scoperta del più importante sito pre-angkoriano della Cambogia

Prima di lasciare Kompong Thom e dirigervi verso la vicina Siem Reap tributate una visita a Sambor Prei Kuk, il più importante sito monumentale dell’era pre-angkoriana. Questo complesso sorge a 30 chilometri circa a nord di Kompong Thom e conta più di 100 edifici, 10 dei quali a pianta ottagonale, circondati e in alcuni casi inglobati da una rigogliosa foresta sub-tropicale. I templi sono costruiti principalmente in mattoni con elementi decorativi in arenaria.

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Raggiungete il sito a bordo di un tuk tuk, ammirate la bellezza della campagna cambogiana e assaporate la lentezza del viaggio.

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Noto con il nome di Ishanapura, questo insediamento fu la capitale dell’impero Chenla all’inizio del VII secolo d.C. e rimase un importantissimo centro culturale anche durante l’epoca di Angkor. Cadde in stato di abbandono a partire dal XV secolo per essere riscoperto a inizio Novecento da studiosi occidentali. In un area di  circa un chilometro per lato, sorgono tre complessi templari principali con caratteristiche simili che furono probabilmente fonte di ispirazione per la costruzione di Angkor cinque secoli più tardi. Ciascun complesso di templi è protetto da una doppia cinta muraria, consta di una torre centrale circondata da laghi, porte e templi.

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Negli anni ’70 il sito fu bombardato dall’aviazione americana che sosteneva il governo di Lon Nol contro il regime dei khmer rossi. Alcuni crateri sono ancora visibili oggi. L’area è stata bonificata dalle ultime mine solo nel 2008. Per godere al meglio della visita a questo sito ingaggiate una guida locale, sosterrete l’economia del luogo e farete piacevoli incontri. Noi abbiamo avuto la fortuna di ingaggiare una guida donna, una ragazza madre con una coraggiosa storia di riscatto sociale alle spalle.
Concedetevi una lenta passeggiata all’ombra della foresta, lungo i suoi sentieri sabbiosi. Respirerete un’atmosfera serena e decisamente rilassata. Forse le cose cambieranno presto: Sambor Prei Kuk è stato iscritto dall’Unesco nella lista dei siti patrimonio dell’umanità nel luglio del 2017. Probabilmente molti turisti giungeranno a visitare il sito e  un po’ di magia sparirà. Ecco una cartina del luogo che vi agevolerà nella visita. La mappa è tratta dal sito https://moon.com/
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Foto di Emiliano Allocco 
(link a Flickr)

Museo del genocidio di Tuol Sleng

Se siete di passaggio a Phnom Penh, una visita al Museo del genocidio di Tuol Sleng è d’obbligo (l’edificio sorge all’angolo tra Street 113 e Street 350). Sarà un’esperienza straziante, toccante, angosciante, ma non può essere evitata.
La Storia fa il suo ingresso a Phnom Penh il 17 aprile 1975, il giorno in cui nella capitale marciò per la prima volta l’esercito dei Khmer rossi. Poche ore dopo, i soldati evacuarono gli abitanti di Phnom Penh: l’ordine impartito con la forza fu quello di abbandonare la città e ripopolare le campagne. Sei mesi più tardi, il liceo Tuol Svay Prey venne trasformato in un carcere di massima sicurezza, noto come S-21. Divenne tristemente il principale centro di detenzione e tortura del paese. Il governo di Pol Pot cessò con l’invasione vietnamita e l’occupazione di Phnom Penh del gennaio 1979. Il Partito Democratico di Kampuchea continuò a controllare per anni diverse zone del paese. Due giorni dopo la caduta del regime, S-21 venne scoperto. In meno di quattro anni, in nome di Angkar, tra le 12 e le 20 mila persone vennero imprigionate a Tuol Sleng per essere poi condotte nei campi di sterminio di Choeung Ek, giustiziate e sepolte in fosse comuni. Nell’intero paese, a causa di carestie lavori forzati esecuzioni sommarie, persero la vita 3 milioni di anime, 1 cambogiano su 4.
Oggi S-21 è sede del museo Tuol Sleng il cui fine è quello di preservare la memoria dei crimini perpetrati dai khmer rossi e testimoniarne la disumanità.
Come i nazisti, i khmer tenevano maniacalmente traccia dei propri crimini: tutti i prigionieri (uomini, donne, bambini) venivano schedati, fotografati talvolta prima e dopo le torture, ad ognuno era assegnato un numero. Qui furono internati anche diversi stranieri (americani, australiani, neozelandesi). All’apice della follia, in un clima di sospetto e paranoia dilaganti, il partito iniziò a divorare se stesso: torturatori e carnefici che prestavano servizio a S-21 furono eliminati. Nel 1977, mentre infuriavano le purghe dei quadri del partito, S-21 registrava in media 100 vittime al giorno.
Quando l’esercito vietnamita entrò a Tuol Sleng, furono trovati in vita solo 12 prigionieri scampati alla morte grazie al loro talento (erano meccanici, pittori, fotografi). Angkar, l’organizzazione in nome della quale governavano i khmer rossi, guardava con sospetto a ogni forma di arte e represse con violenza ogni manifestazione collettiva di cultura. L’unica forma d’arte tollerata era quella che glorificava il partito.
Visitare S-21 sarà un’esperienza angosciante, a tratti insopportabile. Vi consiglio di affittare l’audio-guida (è disponibile anche in italiano) per ripercorrere la Storia del luogo e del partito e le storie dei prigionieri. Toccanti e terrificanti le testimonianze dei sopravvissuti.
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Quando uscirete da S-21 e vi ritufferete nel traffico cittadino, il caos e il via vai frenetico di Phnom Penh vi sembreranno quasi un toccasana. Né io né mio marito abbiamo scattato foto all’interno di Tuol Sleng per rispetto del luogo e della tragedia.
Non lontano da S-21 sorge il moderno National Blood Transfusion Centre (Yothapol Khemarak Phoumin Blvd – 271, Phnom Penh). Se avete bisogno di riconciliarvi con il mondo e di compiere un atto di umanità come catarsi per quanto visto e udito, recatevi qua e donate il sangue. La Cambogia possiede poche riserve di sangue a causa di un elevato tasso di talassemia e di un pregiudizio ancora diffuso verso la donazione. Il personale è cortese e preparato, la struttura all’avanguardia. Dopo la donazione avrete diritto a un abbondante pasto e riceverete in omaggio una t-shirt.