Le millemila meraviglie dell’antica capitale singalese, a giro in bicicletta tra le rovine di Anuradhapura

Anuradhapura fu la capitale dello Sri Lanka per oltre mille anni (dal IV secolo a.C. al X secolo d.C.). Si trova a circa 200 chilometri da Colombo, nella provincia centro-settentrionale del paese. Le rovine di questo antico impero sono tra le più incantevoli di tutta l’Asia. Il sito è stato proclamato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità e comprende numerose meraviglie architettoniche e archeologiche che meritano di essere visitate: enormi dagoba, vasche per la raccolta delle acque, suggestivi templi e quel che resta del palazzo reale.
Anuradhapura divenne la capitale dell’isola di Ceylon nel 380 a.C. sotto re Pandukabhaya che la rinnovò completamente, dotandola di una cittadella fortificata, di un palazzo reale circondato da quartieri residenziali e da un’area extraurbana dedicata all’accoglienza dei mercanti stranieri. Quando nel III secolo a.C. il buddhismo giunse nell’isola dalla vicina IndiaAnuradhapura divenne un importantissimo luogo di culto e meta di pellegrinaggi poiché qui veniva conservata una preziosa reliquia, un dente del Buddha. Anuradhapura è cara anche all’hinduismo, poiché pare che qui sorgesse la capitale di re Asura Ravana, uno dei protagonisti del Ramayana, il testo sacro hinduista.
Nel 204 a.C. la città fu conquistata per la prima volta dai chola dell’India del Sud che riusciranno ad espugnarla più volte nel corso dei mille anni in cui Anuradhapura fu capitale. Dopo quasi 50 anni, l’eroe singalese Dutugemunu il disubbidiente riuscì a liberarla dagli invasori. La leggenda narra che il padre gli avesse fermamente proibito di lanciarsi nell’impresa, preoccupato per l’incolumità del figlio. Quando Dutugemunu riconquistò Anuradhapura, in segno di sfregio, fece recapitare al pavido padre un indumento femminile. Sotto il suo regno, venne varato un importante piano edilizio che diede il via all’edificazione di alcuni tra i monumenti più importanti del sito. All’ultimo grande re, Mahasena, si deve invece la costruzione di 16 bacini idrici e di un importante canale.
Anuradhapura sopravvisse fino agli albori dell’XI secolo, poi la capitale fu spostata a Polonnaruwa. Il sito venne saccheggiato dai chola nel 1017 d.C. e non tornò più agli antichi fasti. Un gruppo di monaci popolò la città per due secoli ancora, poi il sito fu abbandonato e cadde in rovina.

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Alcuni consigli pratici per visitare Anuradhapura:

  • Alcuni monumenti sono utilizzati tuttora e sono considerati tra i più sacri del paese. Il sito è tutt’oggi meta di numerosissimi pellegrini che, di bianco vestiti, accorrono qui per venerare il sacro Sri Maha Bodhi e altri monumenti. Abbiate cura di vestirvi con il giusto decoro: pantaloni o gonne sopra al ginocchio non sono ammessi, le braccia devono essere coperte. Si può accedere ai templi solo scalzi (portatevi un paio di calze nelle giornate calde per evitare di ustionarvi le piante dei piedi) ed è obbligatorio togliere eventuali copricapo;
  • Il biglietto è piuttosto costoso (25 $) ed è valido per una sola giornata. Il sito si estende su un’area di 40 kmq. Partite presto la mattina con la vostra esplorazione;
  • Il mezzo migliore “a dorso” del quale visitare Anuradhurapura è senza ombra di dubbio la bicicletta. Non inquinerete l’ambiente, concorrerete a preservare il sito, unirete della sana attività fisica a un’escursione culturale e potrete muovervi con agilità da un sito al successivo sia sulle strade asfaltate, sia sui piccoli sentieri in terra battuta preclusi ai veicoli. Il sito ospita estese aree verdi popolate da scimmie, pavoni, scoiattoli, cani, varani. Non mancate di fare un giro in bici nei vari parchi. L’affitto di una bicicletta costa all’incirca 2,50 $ al giorno.

Le numerose rovine possono essere divise in tre categorie: i dagoba o stupa, edifici a forma di campana in mattoni; i monasteri dei quali restano colonne, fondamenta e piattaforme e i pokuma, le grandi vasche che rifornivano la città di acqua potabile. Anuradhapura vantava il più complesso sistema di irrigazione del mondo antico in zone aride. Molti bacini idrici sono ancora esistenti e si crede che siano tra i laghi artificiali più antichi al mondo.
Non mancate di visitare la Abhayagiri Dagoba che all’apice del suo splendore arrivò ad ospitare fino a 5.000 monaci. Eretta nel I secolo a.C., con i suoi oltre 100 metri di altezza era uno dei monumenti più alti dell’antichità. Si crede che qui fosse conservata una statua di un toro dorato contenente reliquie del Buddha. L’enorme Jetavanarama Dagoba era il terzo edificio più alto al mondo, dopo le piramidi egizie. Si stima che per la sua costruzione siano stati impiegati 90 milioni di mattoni con i quali si potrebbe erigere un muro di 3 metri che da Londra corre fino a raggiungere Edimburgo!
La bianca Ruvanvelisaya Dagoba si staglia imponente all’orizzonte. Qua si svolgono meravigliose funzioni religiose. Si narra che quando la stupa venne consacrata, una parte delle ceneri del Buddha sia stata deposta qui durante una maestosa cerimonia che richiamò monaci da tutto il mondo. Accorsero venerabili sadhu anche dal Kashmir e dall’Afghanistan.

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Il centro fisico e spirituale di Anuradhapura è lo Sri Maha Bodhi, il sacro albero della bodhi nato da un germoglio dell’albero sotto il quale, in India, Buddha trovò l’Illuminazione. E’ considerato l’albero più antico del mondo di autenticità storicamente comprovata, testimoniata dall’initerrotta serie di guardiani che per oltre 2.000 anni lo ha accudito. Secondo la leggenda, la talea fu importata dall’india dalla principessa Sangamitta, figlia dell’imperatore indiamo Ashoka e sorella di Mahinda che importò il buddhismo in Sri Lanka.
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Foto di Emiliano Allocco (Visita la pagina Flickr di Emiliano) 

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809 gradini per il paradiso: salire a piedi a Phnom Santuk

Ci siamo lasciati Kratié alle spalle e, lungo la strada che conduce a Siem Reap, abbiamo deciso di fare tappa per una notte appena a Kompong Thom. Da qui con un tuk tuk abbiamo raggiunto Phnom Santuk, la montagna sacra (207 metri) più importante della regione e meta di pellegrinaggi buddhisti. Riempitevi gli occhi con i bucolici paesaggi che incontrerete lungo la via.
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I pendii di Phnom Santuk sono ricoperti di rigogliosa foresta e costellati di pagode e raffigurazioni del Buddha. Acquistate una bottiglia d’acqua (grande!), prendete fiato, toglietevi le scarpe e, come un pellegrino, salite in cima a questo promontorio: percorrete lentamente gli 809 gradini della scalinata che vi porterà ad espugnare la vetta del monte sacro. Sarà un’ascesa faticosa, ma guadagnare la cima vi ripagherà. L’ultimo tratto lo percorrerete in compagnia di un gran numero di scimmie incuriosite dalla vostra presenza. Prestate attenzione ai vostri averi.

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I più pigri possono salire a Phnom Santuk da una strada asfaltata alternativa, lunga 2,5 km. Per un paio di dollari, potete farvi portare su da qualche motociclista volenteroso. In cima dedicatevi alla visita delle numerose pagode. Sul lato meridionale, andate alla ricerca dei Buddha distesi: alcuni sono stati scavati nella roccia nei secoli passati, altri sono versioni più moderne in cemento.
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Dai massi in cima al promontorio si gode di una bella vista sulla valle. Aspettate qua il tramonto e ammirate le risaie tingersi di rosso. La scalinata non è illuminata. Se decidete di trattenervi a Phnom Santuk fino a sera, accertatevi di avere con voi una torcia elettrica.
Sulla sommità vi è un wat in attività i cui monaci accolgono con calore e simpatia i turisti. Fermatevi qui a chiacchierare, a filosofeggiare e a disquisire del senso della vita. Sono stata fortunata perché ho incontrato un gruppo di giovani monaci alcuni dei quali parlavano un ottimo inglese. Abbiamo discusso a lungo di Buddha, del mondo illusorio, dell’importanza di avere una mente allenata per saper resistere alle tentazioni del mondo, della speranza, del ruolo che pensieri e desideri giocano nella nostra vita, di felicità interiore e compassione, di come il mondo cambia quando cambiamo noi. Una bella discussione interattiva difficile da riassumere qui in poche righe.

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“Perché le persone si allontanano?” mi domanda un monaco mentre mi alzo. Tentenno, riprende lui la parola: “Perché abbiamo la presunzione di conoscere gli altri, mentre quello che conosciamo è solo il loro ricordo, l’idea che noi abbiamo di loro. Se ci incontrassimo di nuovo domani, tu saresti un’altra persona. Le persone cambiano, evolvono. Sono il continuo risultato di pensieri ed esperienze. Per stare insieme a lungo, bisogna avere l’umiltà di ammettere di non conoscersi e continuare a prestare attenzione alla persona che il nostro compagno di vita diventa giorno dopo giorno. Siete marito e moglie, vero?” Annuisco senza parlare. Riprendiamo gli zaini, salutiamo e ci avviamo alla scalinata. E’ ormai notte e la discesa è piuttosto rocambolesca. Ricordatevi la torcia!

Foto di Emiliano Allocco

Un tuffo nel Mekong

Kratié è una tranquilla cittadina fluviale adagiata sulle rive del Mekong. Dopo il caos di Phnom Penh ci siamo rifugiati qui per godere della natura e ammirare meravigliosi tramonti sul fiume maestoso e imponente. Ieri pomeriggio, per pochi dollari, mio marito ed io abbiamo affittato una bici e ci siamo diretti verso Kampi, un villaggio a 16 km circa da Kratie.

Non potete sbagliarvi: c’è un’unica strada che collega i due paesi. Corre parallela al Mekong e attraversa una natura rigogliosa e piccoli villaggi rurali. Sarete l’attrazione dei bambini che vi correranno incontro per gridarvi “Hello” e i più audaci vi chiederanno anche “What’s your name?”. Riempitevi gli occhi di bellezza, natura e dei colori del tramonto sul fiume. Una gita romantica e appagante. Quanti tramonti ho visto quest’anno? Quante volte mi sono alzata presto per ritrovare la pace davanti al sorgere del sole? Sotto quanti cieli stellati ho sognato? Probabilmente il senso di estraneità e smarrimento che coglie più o meno tutti quando siamo soffocati dalla routine quotidiana nelle nostre belle città europee, intenti a correre fare lavorare, arriva da qua. Da un allontanamento dalla natura, dai suoi ritmi, dalla sua meraviglia. Contemplare l’incanto del creato aiuta a sentirsi parte del tutto e a riordinare priorità e paure.

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Oggi la giornata era calda e perfetta per un’escursione in kayak sul Mekong. Non fate come me! Prima di partire acquistate una crema solare. Saranno pochi dollari decisamente ben spesi.

Se siete interessati all’avvistamento delle orcelle o delfini dell’Irrawaddy recatevi a Kampi e qui affittate un kayak. Se preferite una gita organizzata, non vi sarà difficile trovarne una. Le orcelle sono delfini di acqua dolce, di colore blu scuro o grigio, che possono raggiungere i 2,75 mt di lunghezza. Hanno una fronte sporgente e rotonda e piccole pinne dorsali. Nonostante l’introduzione di rigide misure per proteggere la specie, sono a rischio estinzione e si stima che nel tratto del Mekong tra Kratié e il confine laotiano vivano appena 85 esemplari. Durante il regime dei Khmer rossi molte orcelle furono uccise per ricavare olio da bruciare nelle lampade per sopperire alla mancanza di elettricità.
Non credo l’avvistamento dei delfini dell’Irrawaddy valga l’escursione in kayak: se sarete fortunati ne vedrete alcuni, in lontananza, per pochi secondi appena. Ma navigare il Mekong, contemplarne la potenza, fermarsi su un banco di sabbia in mezzo al fiume e tuffarvi in acqua vi ripagherà.

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Foto di Emiliano Allocco