Se siete di passaggio a Phnom Penh, una visita al Museo del genocidio di Tuol Sleng è d’obbligo (l’edificio sorge all’angolo tra Street 113 e Street 350). Sarà un’esperienza straziante, toccante, angosciante, ma non può essere evitata.
La Storia fa il suo ingresso a Phnom Penh il 17 aprile 1975, il giorno in cui nella capitale marciò per la prima volta l’esercito dei Khmer rossi. Poche ore dopo, i soldati evacuarono gli abitanti di Phnom Penh: l’ordine impartito con la forza fu quello di abbandonare la città e ripopolare le campagne. Sei mesi più tardi, il liceo Tuol Svay Prey venne trasformato in un carcere di massima sicurezza, noto come S-21. Divenne tristemente il principale centro di detenzione e tortura del paese. Il governo di Pol Pot cessò con l’invasione vietnamita e l’occupazione di Phnom Penh del gennaio 1979. Il Partito Democratico di Kampuchea continuò a controllare per anni diverse zone del paese. Due giorni dopo la caduta del regime, S-21 venne scoperto. In meno di quattro anni, in nome di Angkar, tra le 12 e le 20 mila persone vennero imprigionate a Tuol Sleng per essere poi condotte nei campi di sterminio di Choeung Ek, giustiziate e sepolte in fosse comuni. Nell’intero paese, a causa di carestie lavori forzati esecuzioni sommarie, persero la vita 3 milioni di anime, 1 cambogiano su 4.
Oggi S-21 è sede del museo Tuol Sleng il cui fine è quello di preservare la memoria dei crimini perpetrati dai khmer rossi e testimoniarne la disumanità.
Come i nazisti, i khmer tenevano maniacalmente traccia dei propri crimini: tutti i prigionieri (uomini, donne, bambini) venivano schedati, fotografati talvolta prima e dopo le torture, ad ognuno era assegnato un numero. Qui furono internati anche diversi stranieri (americani, australiani, neozelandesi). All’apice della follia, in un clima di sospetto e paranoia dilaganti, il partito iniziò a divorare se stesso: torturatori e carnefici che prestavano servizio a S-21 furono eliminati. Nel 1977, mentre infuriavano le purghe dei quadri del partito, S-21 registrava in media 100 vittime al giorno.
Quando l’esercito vietnamita entrò a Tuol Sleng, furono trovati in vita solo 12 prigionieri scampati alla morte grazie al loro talento (erano meccanici, pittori, fotografi). Angkar, l’organizzazione in nome della quale governavano i khmer rossi, guardava con sospetto a ogni forma di arte e represse con violenza ogni manifestazione collettiva di cultura. L’unica forma d’arte tollerata era quella che glorificava il partito.
Visitare S-21 sarà un’esperienza angosciante, a tratti insopportabile. Vi consiglio di affittare l’audio-guida (è disponibile anche in italiano) per ripercorrere la Storia del luogo e del partito e le storie dei prigionieri. Toccanti e terrificanti le testimonianze dei sopravvissuti.
Quando uscirete da S-21 e vi ritufferete nel traffico cittadino, il caos e il via vai frenetico di Phnom Penh vi sembreranno quasi un toccasana. Né io né mio marito abbiamo scattato foto all’interno di Tuol Sleng per rispetto del luogo e della tragedia.
Non lontano da S-21 sorge il moderno National Blood Transfusion Centre (Yothapol Khemarak Phoumin Blvd – 271, Phnom Penh). Se avete bisogno di riconciliarvi con il mondo e di compiere un atto di umanità come catarsi per quanto visto e udito, recatevi qua e donate il sangue. La Cambogia possiede poche riserve di sangue a causa di un elevato tasso di talassemia e di un pregiudizio ancora diffuso verso la donazione. Il personale è cortese e preparato, la struttura all’avanguardia. Dopo la donazione avrete diritto a un abbondante pasto e riceverete in omaggio una t-shirt.