Come spesso accade, la bellezza sa mettere radici profonde anche nei luoghi più angusti e disperati e, inaspettata, sa fiorire rigogliosa ispirando a sua volta nuovi atti di generosità e gratuità. Da questo esercizio di virtù, rinasce la speranza. E così è stato con Sari Bari. In una città decadente e a tratti crudele come Kolkata nella cui periferia settentrionale sorge Sonagachi, il più esteso quartiere a luci rosse del Sud Est asiatico dove lavorano in condizioni precarie e insicure oltre 10 mila donne, Sari Bari lotta quotidianamente dal 2006 per offrire un’alternativa sostenibile ed etica a chi è vittima di tratta sessuale.
Sari è l’abito tradizionale e coloratissimo delle donne indiane, Bari in bengalese significa ‘casa’. Questa organizzazione dà nuova vita a vecchi sari. Gli abiti dismessi vengono raccolti, cerniti e selezionati con cura. Una volta lavati, vengono riutilizzati come stoffa per creare borse, zaini, biancheria per la casa o corredi per la prima infanzia. Il processo è interamente manuale e viene controllato in ogni sua fase.
A ogni prodotto viene infine cucita un’etichetta con il nome di chi ha fabbricato l’articolo. Who made my clothes? Potrete facilmente scoprirlo! Sari Bari si impegna da tempo a sensibilizzare il mercato del tessile, offrendo un’alternativa valida e sostenibile nel tempo al cosiddetto fast fashion.
Le donne che fanno parte di Sari Bari prendono parte a un training iniziale della durata di sei mesi che le forma e le abilita a lavorare come sarte artigianali. Ogni donna riceve un regolare salario e beneficia di un’assicurazione medica per se e per i propri congiunti e mensilmente Sari Bari versa una quota in un fondo pensione a favore di ogni dipendente. Le donne hanno diritto a check up medici gratuiti annuali e se, affette da HIV o da qualche altra patologia, vengono costantemente assistite nel tempo. In caso di necessità, possono richiedere prestiti agevolati a interesse zero erogati dal’organizzazione stessa. I figli delle dipendenti accedono a un programma di istruzione che garantirà loro un futuro migliore.
In Sari Bari ogni dipendente celebra il freedom birthday, ossia il primo giorno di lavoro da donna libera. In questo momento l’organizzazione sta offrendo supporto a 54 bambini, 4 donne stanno frequentando l’apprendistato iniziale, 114 famiglie sono impattate positivamente e 11 donne sono curate per HIV.
Se volete saperne di più, visitate www.saribari.com
Qui potrete visionare il catalogo dei prodotti disponibili per vendite online (principalmente in India e USA e a breve in Australia), potrete leggere alcune testimonianze e, se lo desiderate, fare una piccola donazione. Se siete di passaggio a Kolkata, potete contattare Sari Bari e chiedere di visitare la loro sede di Sonagachi. Per motivi di sicurezza, l’indirizzo non è pubblico e la visita è accompagnata da membri dello staff. Qui potrete vedere con i vostri occhi tutto il processo di creazione e l’organizzazione del lavoro e potrete fare acquisti direttamente in loco.
Tag: sudestasiatico
E tu lo sai che rumore fa il riso che cresce?
Caro blog, quanto tempo! È trascorso quasi un anno dal nostro ultimo post. Allora affidavo alle tue pagine la storia tragica di Bophana e Deth, restituita alla memoria collettiva da una sublime Elizabeth Becker. Un amore intenso, con un epilogo drammatico, vissuto nella Cambogia dei Khmer rossi.
E poi, lunghi mesi silenziosi. Perdona l´attesa. Che confusione! Sono stata a giro, questo sì, in molti modi diversi: con i pensieri, la lettura, gli amici, in bicicletta in Europa, inseguendo un filo rosso in Marocco, a degustare Napoli, sempre sulle orme di qualche forma d´arte. Ma tu eri un pensiero lontano e inopportuno. Ho creduto di non aver nulla da raccontare, che tutto fosse già stato narrato e, meglio, di quanto avrei potuto fare io.
Adesso, seduta su questa terrazza calda a Vientiane, ho riscoperto la voglia e la leggerezza di scrivere. Sul far della sera, quando la giornata si posa in fondo all´animo umano, mi è sovvenuto il pensiero di te, caro blog. Ti porto con me in giro per il Laos. Che ne dici, ricominciamo da qui? Senza pretesa alcuna, sarai un bel diario di viaggio a cui affidare impressioni e ricordi, parziali certo e non esaustivi, ma da catturare per fermare il presente, da rileggere in futuro, da confutare o magari confermare.
Dopo un lungo anno di lavoro e impegni, non potrei essere più felice di essere nessuno qui in questo piccolo paese dell’Indocina, senza sbocchi sul mare, protetto da impervi monti che lo separano dalla Cina e dal Vietnam, adagiato sulle rive del Mekong. Un paese resiliente, che nonostante guerre, invasioni e pressioni esterne, resiste, mantenendo la propria identità, una lentezza irreale, un´aura antica e un ritmo di vita a misura d´uomo.
È liberatorio lasciare il proprio ruolo a casa, sbarazzarsi della necessità così occidentale di una perenne corsa frenetica e riscoprirsi senza maschere, almeno per un po’.
“I vietnamiti piantano il riso, i cambogiani lo guardano crescere, i laotiani ascoltano il riso che cresce” recita un detto risalente ai tempi del colonialismo. Caro blog, andiamo a scoprire che rumore fa il riso mentre fiorisce.
Scopri la storia di Bophana e Deth: L’amore ai tempi dei Khmer rossi
Foto di Emiliano Allocco (Guarda le foto di Emiliano su Flickr)