Wellawaya, l’enigmatico Buddha scolpito nella roccia e le cascate di Diyaluma

A tre quarti d’ora di bus da Ella sorge la piccola cittadina di Wellawaya, una città-crocevia per i trasporti, senza particolari attrattive da offrire ai viaggiatori. Wellawaya è circondata da aride pianure che appartenevano all’antico regno di Ruhunu ed è un’ottima base per visitare il vicino sito di Buduruwagala e le belle cascate di Diyaluma. Fermatevi una notte, non di più.
A circa 5 chilometri dalla città, percorrendo una panoramica strada che costeggia un lago e meravigliosi paesaggi bucolici si raggiungono le sculture rupestri di Buduruwagala. Il nome significa “roccia delle sculture buddiste” e deriva dall’unione delle parole Budu (Buddha), Ruwa (immagini) e Gala (pietra). La storia del sito e delle sue origini rimane avvolta nel mistero, donando al luogo un’aura di suggestione e fascino. Si crede che questa roccia, sapientemente scolpita e nascosta nella giungla, fosse un tempio buddhista della corrente Mahayana, abitato da monaci eremiti oltre mille anni fa.

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All’improvviso tra la fitta vegetazione della giungla vi apparirà un’alta parete rocciosa, sulla quale sono scolpite 7 figure. Il gigantesco Buddha in piedi, al centro, è il più alto dell’isola e raggiunge i 15 metri. Osservandolo con attenzione, si noterà che conserva parte dell’originale stucco bianco che formava la sua veste. Una lunga striscia arancione ci fa supporre che originariamente la statua fosse dipinta a tinte vivaci. Alla destra del Buddha sorge un blocco di tre figure. Quella centrale, di bianco dipinta, si crede raffiguri Avalokitesvara, il bodhisattva della compassione. La figura femminile alla sua sinistra dovrebbe essere la sua consorte Tara. Secondo una leggenda locale, la terza statua rappresenterebbe il principe Sudhana.
Delle tre figure alla sinistra di Buddha, quella centrale indossa una vistosa corona e si pensa sia Maitreya, il Buddha del futuro, successore di Siddhartha, il Buddha Gautama secondo la cui profezia, Maitreya sarà il Buddha della compassione e delle benevolenza, un condottiero di uomini che governerà sul mondo conosciuto e sul cosmo. Sarà l’ultimo Buddha a comparire sulla terra, otterrà l’illuminazione completa, insegnerà il Dharma e i suoi discepoli saranno dieci volte più numerosi di quelli del Buddha Gautama.
Alla sinistra di Maitreya compare Vajrapani che regge tra le mani un vajra, una clessidra simbolo del fulmine. Alcuni dubbi persistono sull’identità della terza figura che potrebbe rappresentare Vishnu Sahampath Brahma. Alcune statue sono ritratte con la mano destra sollevata con due dita ripiegate verso il palmo, quasi a voler richiamare i visitatori. Il sito è ombreggiato, immerso in un silenzio totale e meta di pochi turisti. Potete fermarvi qui a meditare o a godere della pace del luogo.

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Nei dintorni di Wellawaya, meritano una visita le cascate di Diyaluma, le terze per altezza dello Sri Lanka. Con un salto di 171 metri, si tuffano dalla scarpata del Koslanda Plateau e formano un piccolo lago nel quale è possibile bagnarsi. Il sito sorge a 13 chilometri a ovest dalla città.
Sulla Ella-Wellawaya Road incontrerete anche le piccole ma incantevoli cascate conosciute come Ella Wala Falls. Fermatevi qui per un bagno in (quasi) completa solitudine, immersi nella natura e in fresche acque non molto profonde. Per raggiungerle costeggerete un’alta diga sulla quale ci si può arrampicare per godere di una bella vista sul paesaggio circostante.

Foto di Emiliano Allocco (Per vedere altre foto di Emiliano su Flickr, clicca qui)

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Le millemila meraviglie dell’antica capitale singalese, a giro in bicicletta tra le rovine di Anuradhapura

Anuradhapura fu la capitale dello Sri Lanka per oltre mille anni (dal IV secolo a.C. al X secolo d.C.). Si trova a circa 200 chilometri da Colombo, nella provincia centro-settentrionale del paese. Le rovine di questo antico impero sono tra le più incantevoli di tutta l’Asia. Il sito è stato proclamato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità e comprende numerose meraviglie architettoniche e archeologiche che meritano di essere visitate: enormi dagoba, vasche per la raccolta delle acque, suggestivi templi e quel che resta del palazzo reale.
Anuradhapura divenne la capitale dell’isola di Ceylon nel 380 a.C. sotto re Pandukabhaya che la rinnovò completamente, dotandola di una cittadella fortificata, di un palazzo reale circondato da quartieri residenziali e da un’area extraurbana dedicata all’accoglienza dei mercanti stranieri. Quando nel III secolo a.C. il buddhismo giunse nell’isola dalla vicina IndiaAnuradhapura divenne un importantissimo luogo di culto e meta di pellegrinaggi poiché qui veniva conservata una preziosa reliquia, un dente del Buddha. Anuradhapura è cara anche all’hinduismo, poiché pare che qui sorgesse la capitale di re Asura Ravana, uno dei protagonisti del Ramayana, il testo sacro hinduista.
Nel 204 a.C. la città fu conquistata per la prima volta dai chola dell’India del Sud che riusciranno ad espugnarla più volte nel corso dei mille anni in cui Anuradhapura fu capitale. Dopo quasi 50 anni, l’eroe singalese Dutugemunu il disubbidiente riuscì a liberarla dagli invasori. La leggenda narra che il padre gli avesse fermamente proibito di lanciarsi nell’impresa, preoccupato per l’incolumità del figlio. Quando Dutugemunu riconquistò Anuradhapura, in segno di sfregio, fece recapitare al pavido padre un indumento femminile. Sotto il suo regno, venne varato un importante piano edilizio che diede il via all’edificazione di alcuni tra i monumenti più importanti del sito. All’ultimo grande re, Mahasena, si deve invece la costruzione di 16 bacini idrici e di un importante canale.
Anuradhapura sopravvisse fino agli albori dell’XI secolo, poi la capitale fu spostata a Polonnaruwa. Il sito venne saccheggiato dai chola nel 1017 d.C. e non tornò più agli antichi fasti. Un gruppo di monaci popolò la città per due secoli ancora, poi il sito fu abbandonato e cadde in rovina.

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Alcuni consigli pratici per visitare Anuradhapura:

  • Alcuni monumenti sono utilizzati tuttora e sono considerati tra i più sacri del paese. Il sito è tutt’oggi meta di numerosissimi pellegrini che, di bianco vestiti, accorrono qui per venerare il sacro Sri Maha Bodhi e altri monumenti. Abbiate cura di vestirvi con il giusto decoro: pantaloni o gonne sopra al ginocchio non sono ammessi, le braccia devono essere coperte. Si può accedere ai templi solo scalzi (portatevi un paio di calze nelle giornate calde per evitare di ustionarvi le piante dei piedi) ed è obbligatorio togliere eventuali copricapo;
  • Il biglietto è piuttosto costoso (25 $) ed è valido per una sola giornata. Il sito si estende su un’area di 40 kmq. Partite presto la mattina con la vostra esplorazione;
  • Il mezzo migliore “a dorso” del quale visitare Anuradhurapura è senza ombra di dubbio la bicicletta. Non inquinerete l’ambiente, concorrerete a preservare il sito, unirete della sana attività fisica a un’escursione culturale e potrete muovervi con agilità da un sito al successivo sia sulle strade asfaltate, sia sui piccoli sentieri in terra battuta preclusi ai veicoli. Il sito ospita estese aree verdi popolate da scimmie, pavoni, scoiattoli, cani, varani. Non mancate di fare un giro in bici nei vari parchi. L’affitto di una bicicletta costa all’incirca 2,50 $ al giorno.

Le numerose rovine possono essere divise in tre categorie: i dagoba o stupa, edifici a forma di campana in mattoni; i monasteri dei quali restano colonne, fondamenta e piattaforme e i pokuma, le grandi vasche che rifornivano la città di acqua potabile. Anuradhapura vantava il più complesso sistema di irrigazione del mondo antico in zone aride. Molti bacini idrici sono ancora esistenti e si crede che siano tra i laghi artificiali più antichi al mondo.
Non mancate di visitare la Abhayagiri Dagoba che all’apice del suo splendore arrivò ad ospitare fino a 5.000 monaci. Eretta nel I secolo a.C., con i suoi oltre 100 metri di altezza era uno dei monumenti più alti dell’antichità. Si crede che qui fosse conservata una statua di un toro dorato contenente reliquie del Buddha. L’enorme Jetavanarama Dagoba era il terzo edificio più alto al mondo, dopo le piramidi egizie. Si stima che per la sua costruzione siano stati impiegati 90 milioni di mattoni con i quali si potrebbe erigere un muro di 3 metri che da Londra corre fino a raggiungere Edimburgo!
La bianca Ruvanvelisaya Dagoba si staglia imponente all’orizzonte. Qua si svolgono meravigliose funzioni religiose. Si narra che quando la stupa venne consacrata, una parte delle ceneri del Buddha sia stata deposta qui durante una maestosa cerimonia che richiamò monaci da tutto il mondo. Accorsero venerabili sadhu anche dal Kashmir e dall’Afghanistan.

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Il centro fisico e spirituale di Anuradhapura è lo Sri Maha Bodhi, il sacro albero della bodhi nato da un germoglio dell’albero sotto il quale, in India, Buddha trovò l’Illuminazione. E’ considerato l’albero più antico del mondo di autenticità storicamente comprovata, testimoniata dall’initerrotta serie di guardiani che per oltre 2.000 anni lo ha accudito. Secondo la leggenda, la talea fu importata dall’india dalla principessa Sangamitta, figlia dell’imperatore indiamo Ashoka e sorella di Mahinda che importò il buddhismo in Sri Lanka.
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Foto di Emiliano Allocco (Visita la pagina Flickr di Emiliano) 

Colombo, orfana di mare

Colombo per me? Un faro, orfano di mare. Se mi chiedessi di descriverti la capitale singalese e di sunteggiarti in breve le impressioni che ha suscitato in me, ecco io sceglierei di ricorrere proprio a questa metafora.

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L’Old Galle Buck Lighthouse si raggiunge arrampicandosi su una scalinata che conduce ad un’ampia terrazza che nel 1954, anno di costruzione dell’edificio, confinava con l’oceano Indiano. Oggi questo bel faro è lambito da una spiaggia artificiale e si affaccia su un ampio cantiere in gran fermento. Urge allargare il Colombo Port City, ampliare i traffici di merci e costruire un nuovo quartiere che si estenderà su 260 ettari e sarà all’avanguardia con i suoi altissimi grattacieli, condomini super accessoriati, canali sull’oceano, enormi centri commerciali. Come in quasi tutto il sud-est asiatico, anche lo Sri Lanka non ha resistito al richiamo della modernità e ai capitali cinesi. Ma tu riesci a immaginare la malinconia di un faro, ridotto a monumento, che dovrà imparare a sopravvivere senza il rumore del mare? Che farà ora che non potrà più indicare la rotta ai naviganti?
C’è frenesia. I cantieri pullulano in tutta la città. Via il vecchio, largo al nuovo che avanza a grandi balzi. Sempre la stessa storia: modernità, accelerazione, consumismo come risposte facili e immediate ai mali moderni e ai bisogni umani. È davvero questo il progresso? Perché anche tu, Colombo, vuoi copiare un sistema di sviluppo esistente che sappiamo già non funzionare? Sarebbe tempo di creare un altro modello, di inventarci un nuovo modo di stare insieme tra noi esseri umani, ridefinire il senso della parola “crescita”, esplorare le profondità del nostro animo. Probabilmente la faccio troppo facile. Ma oggi è, relativamente, facile anche sbarazzarsi di un meraviglioso paesaggio tropicale, strappare terre al mare, ridisegnare lo skyline cittadino e costruire nuovi centri commerciali. Il conto lo pagherà domani qualcun altro. Non pretendo che sia tu, Colombo, a risolvere tutto questo. Ma più ti guardo e più ti vivo, più la malinconia mi attanaglia. Mi sento come un faro senza più sbocchi sul mare.
Colombo mia, ti ho scattato queste tre fotografie che ho la presunzione di credere che ti ritraggano esattamente come sei ora, sul finire del 2019, in bilico tra glorie passate e modernissime lusinghe. Ti ho vista così. Tu sei per me un tempio Hindu che convive con un’altissima torre delle comunicazioni (350 mt) a forma di fiore di loto che di notte si illumina e cambia colore a intermittenza. Sei un grattacielo nato dove prima sorgeva una piccola abitazione ora distrutta. Sei un binario del treno che muore ai piedi del Loto delle comunicazioni.

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Se avete aperto questo articolo pensando di trovarci qualche informazione utile per il vostro soggiorno in città, cerco di non deludervi. In calce qualche consiglio pratico.  Colombo è una città trafficata, inquinata, caotica. Verrete importunati a ogni angolo da conducenti di tuk tuk che si offriranno di portarvi a fare un “city tour”. Dopo un paio di no, non dovreste essere più disturbati.
La città non offre grandi attrattive, non fermatevi più di un giorno o 2 al massimo.
Cosa vedere a Colombo:

  • Il quartiere di Fort è il centro pulsante della città. Durante la dominazione europea, Fort era davvero un forte, circondato dal mare su due lati e da un fossato sugli altri due. Oggi è invece un quartiere altamente militarizzato. Vi capiterà spesso di dover cambiare strada per via dei posti di blocco. Non mancate di visitare la Torre dell’Orologio, il Dutch Hospital (un complesso di epoca coloniale risalente al Seicento che oggi ospita caffè, ristoranti e negozi alla moda), il World Trade Center, il porto e la residenza ufficiale del presidente. Prima di lasciarvi Fort alle spalle, tributate un omaggio all’Old Galle Buck Lighthouse (il faro privato del mare in nome del progresso) e sorseggiate un lime juice al Pagoda Tea House, un’elegante casa del tè che serve deliziosi spuntini dal 1884. Qui i Duran Duran girarono il video di Hungry Like a Wolf negli anni ‘80;

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  • Il quartiere di Pettah, uno dei più antichi della città, è un animato bazar a cielo aperto. Trascorrete qui almeno un paio d’ore e perdetevi tra le sue vie. In ogni strada, troverete commerci di beni differenti. Il mercato più interessante è quello alimentare, ospitato sotto una tettoia lungo 5th Cross Street (Federation of Self Employees Market). I Pettah floating markets (mercati galleggianti) sono invece deludenti e privi di fascino. Costruiti lungo un canale industriale e inaugurati nel 2014, sono una buona espressione dei tempi correnti. Troverete chincaglierie di dubbia utilità, destinate a durare appena il tempo di un capriccio. Non mancate di visitare il tempio hinduista di Sri Kailawasanathan Swami Devasthanam Kovil;

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  • Passeggiate per la vivace Main Street e fermatevi ad ammirare il vecchio municipio (Old City Hall) risalente al 1865 quando l’isola di Ceylon era una colonia britannica e la meravigliosa moschea Jami Ul-Alfar di rosso e bianco dipinta. Vi toglierà il fiato. Purtroppo non è visitabile all’interno;

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  • Riprendete fiato e rilassatevi al Galle Face Green, una striscia di verde affacciata sul mare, immediatamente a sud di Fort. Qui gli abitanti di Colombo si ritrovano alla sera per rilassarsi e ammirare il tramonto. Per onestà di cronaca, non sarà un tramonto romantico. Il luogo è piuttosto sporco e i nuovi alberghi, condomini e palazzi di uffici costruiti immediatamente alle spalle di Galle Face Green rovinano l’atmosfera. Inoltre il porto di Colombo ostruisce la vista del mare aperto;
  • Non potete mancare di visitare il Gangaramaya Temple in Sri Jinaratana Road. Questo bel tempio buddhista ospita una biblioteca, un museo e una ricca collezione di oggetti donati nel corso degli anni da fedeli e visitatori;

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  • Prendete un tuk tuk e dirigetevi nel quartiere dei Cinnamon Gardens, a circa 5 chilometri da Fort. Solo cent’anni fa, queste terre erano coperte da piantagioni di cannella. Recatevi al vicino National Museum, un imponente edificio bianco che ospita una collezione permanente di opere d’arte, bassorilievi e statue dello Sri Lanka. Passeggiate lungo i viali alberati del Viharamahadevi Park, il polmone verde del quartiere e concludete la vostra esplorazione dei dintorni con una visita al Lionel Wendt Centre, un bel centro culturale che organizza mostre ed eventi temporanei. Noi abbiamo potuto ammirare una bella mostra dedicata all’arte del Bangladesh;

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  • Gustate un piatto di ottimo riso e curry accompagnato da una fumante tazza di tè in uno dei tanti ristoranti lungo le strade. Non ve ne pentirete, sarà un’esplosione di sapori e spezie. Vegetariani e vegani non avranno problemi a mangiare in città. 

Filosofia di un viaggio

Non potevo concludere la narrazione del Laos senza un paio di righe di chiosa. E allora ecco un flusso di coscienza senza grandi pretese e senza troppe ambizioni, né di essere esaustivo né tantomeno depositario di una qualche verità.
– Gli aeroporti, i porti, le stazioni dei treni e dei bus hanno un fascino magnetico. Sono luoghi che fanno a meno del tempo. Queste cattedrali del peregrinare muovono quotidianamente persone e merci, senza sosta. Il giorno non tramonta mai e la notte non viene. Qui il tempo è circolare, non c’è un inizio, non c’è una fine. Ognuno si muove a un ritmo proprio, indipendente da chi lo circonda. Fermatevi ad osservare il via vai dei flussi. E’ una lectio di filosofia;
– In viaggio, il tempo non esiste. Non si pranza alle 12, non ci sono meeting settimanali di lavoro, non si va in palestra alla solita ora il giovedì. E’ bello ogni tanto ricordare che la routine è una cattiva abitudine. Al di là delle consuetudini personali e sociali, ci sono albe da ammirare, pranzi all’ora di cena, pedalate a tarda notte e una geometria di esperienze da collocare in ordine sparso e casuale in un tempo che lineare non è;
– Che l’essenzialità diventi il vostro mantra. Uno zaino in spalle è più che sufficiente. Sarete i primi ad uscire dall’aeroporto, vi muoverete leggeri da una tappa alla successiva del vostro tour, non cederete alla tentazione di acquistare chincaglierie o souvenir di dubbia utilità. Lasciate a casa almeno qualcuno dei vostri soliti oggetti personali. Io ho imparato a viaggiare senza trucchi. Una piccolezza, certo, che tuttavia è per me un esercizio di autostima, consapevolezza, riscoperta e libertà. Fate qualcosa che di solito non fate. Portate con voi pochi vestiti, ben scelti. Riscoprirete di quante cose non abbiamo bisogno e quanti fardelli mettiamo ad appesantire il nostro vivere;
– Impegnatevi affinché le vostre vacanze diventino viaggi. Usate il vostro tempo libero dai doveri sociali, famigliari, lavorativi per imparare, crescere, scoprire. Se non sapete resistere allo shopping, che almeno sia il più etico e locale possibile. Diventiamo pellegrini, umili, curiosi, rispettosi dei luoghi, delle persone, delle tradizioni. Che il nostro passaggio in terre lontane sia invisibile. I segni dobbiamo portarli noi nell’animo, non di certo i luoghi che ci hanno ospitati. Buon pellegrinaggio;
– Osservatevi attorno, sempre. Curiosate. Al di là delle apparenze più varie, risiedono i bisogni umani più elementari e comuni. Gli stessi che albergano in noi. L’umanità che unisce le persone è più profonda del folklore locale. Oltre ai condizionamenti, alle abitudini e alle tradizioni, sempre scopriamo persone animate dai nostri impulsi e dal nostro stesso sentire;
– La curiosità è il mantra di ogni viaggiatore, ma non è in contrapposizione con la prudenza. Ciò che è fuori, è anche dentro di noi. Ognuno di noi ospita nel proprio animo vette e abissi e, quotidianamente, compie scelte che lo innalzano o lo fanno sprofondare nel buio più profondo. Il male esiste, fa parte del mondo e di noi. Un’attenta e prudente curiosità, pronta a sorprendersi e ad aprirsi al prossimo, è un requisito fondamentale di chi si mette in cammino;
– Viaggiare non presuppone necessariamente uno spostamento. Il viaggio è un’attitudine, una scoperta continua, una curiosità mai appagata, un’apertura sincera a ciò che è nuovo e diverso. Si impara molto, se si è disposti a farlo, quando si è in luoghi che non ci appartengono. Ma altrettanto si può fare restando fermi. Un libro, un film, uno spettacolo a teatro, la musica, l’arte, le relazioni umane sono finestre sul mondo. Il viaggio non finisce mai. Non tutti i viaggiatori hanno uno zaino sulle spalle. Non tutti i possessori di valigie sono viaggiatori. Ci sono molte strade, tanti percorsi singolari che conducono allo stesso luogo;
– Viviamo tempi bizzarri, incerti, infelici. I social sono parte della quotidianità, ormai a qualunque latitudine. Postate su Instagram e retwittate pure, ma siate rispettosi. Evitate selfie sorridenti di voi davanti a un calice di champagne, ma condividete pure foto delle bellezze che vedete. Portate con voi chi, per motivi vari, non può affrontare un viaggio, siate un mezzo di condivisione e scoperta del mondo. Non ostentate voi stessi. Fatevi strumento, non fine;
– La natura è la cura a tanti mali. La sottovalutiamo, la disprezziamo e ce ne dimentichiamo troppo spesso. Stili di vita più naturali ristabiliscono il nostro equilibrio internoQuante albe avete contemplato nel vostro ultimo anno? Davanti a quanti tramonti vi siete fermati a riflettere di recente? Il viaggio è una riscoperta dell’importanza e della centralità della natura che è madre;
– L’ultimo pensiero va al Laos. E’ un paese bellissimo, incontaminato, verde, lento. Vi piacerà se siete alla ricerca di qualcosa di diverso, di altro, di un’alternativa alla modernità più esasperata. Questo paese minuscolo, selvaggio, ancora ferito da una guerra formalmente terminata oltre 40 anni fa, privo di una rete ferroviaria e industriale, vi ruberà il cuore. Qui, più che mai, è un dovere essere pellegrini. Se amate andare a Dubai per fare acquisti, potreste rimanere delusi. Per il resto, non manca nulla.

Quando il viaggio vale la meta, da Phonsavan a Pakse in bus per scoprire il plateau di Bolaven

Ebbene si, ce l’abbiamo fatta! Dopo 17 lunghe ore di viaggio siamo arrivati a Pakse. Dalla stazione nord di Phonsavan, parte quotidianamente un bus alle 7 di mattina che vi condurrà a Pakse, con arrivo previsto intorno alla mezzanotte. Questo trasferimento, è di per sé un viaggio nel viaggio. Mettetevi comodi, armatevi di pazienza e divertitevi quanto più potete. Alla partenza, vi verrà consegnata dall’autista una busta in plastica con all’interno una bottiglia d’acqua e un paio di dolci per sostenervi nelle lunghe ore che seguiranno. Le strade del Laos sono difficili, dissestate, spesso non asfaltate. Una parte del viaggio si snoda tra stradine di montagna, molto curve. I viaggi in Asia, e in particolare in questo piccolo paese antico ancora senza una rete ferroviaria, funzionano in modo leggermente diverso da come siamo abituati noi europei. Non si viaggia spesso da queste parti e quando lo si fa, si portano con sé molti bagagli, a volte particolarmente ingombranti. Se vi capita di viaggiare accanto a una gabbia di polli ruspanti o a un sacco di riso, non fateci caso. E’ normale. Tutti i bagagli vengono caricati in qualche modo. Non importa quanti siano e quanto spazio occupino. Alcuni saranno legati sul tetto dell’automezzo, altri caricati nelle cappelliere o nelle stive, altri ancora troveranno posto tra le vostre gambe. Solitamente vengono venduti tanti biglietti quanti sono i richiedenti. Se i posti a sedere sono inferiori al numero di passeggeri, l’autista tirerà fuori piccoli sgabellini che verranno posizionati nel corridoio centrale della corriera. Affrettatevi a salire sul bus, se volete accaparrarvi un sedile standard.
Lungo la via verranno effettuate molte soste per permettere ai viaggiatori di andare alla toilet, di mangiare o fumare. Oltre alle tappe prestabilite, il bus si fermerà dove richiesto da chi deve scendere con pacchi ingombranti e, lungo la strada, caricherà chiunque farà segno di voler salire, ovunque esso si trovi. Ma nonostante qualche scomodità oggettiva e la lentezza del tempo che sembra non passare mai, in un viaggio così non potrete che divertirvi. Ci sarà sempre qualcuno che vi offrirà un involtino di riso cotto nelle foglie di vite o una fetta di papaya. Siate pronti a contraccambiare. All’ora della nostra cena, durante la sosta, sono spuntate delle bottiglie di BeerLao e insieme abbiamo brindato all’anno che finiva. Dopo tutte quelle ore passate insieme, si può dire di essere ormai quasi amici!
Una volta a Pakse, riposatevi. Ve lo meritate e poi partite alla volta del vicino Altopiano di BolavenPakse è la capitale della provincia di Champasak e il punto di accesso privilegiato al Laos meridionale. Sorge alla confluenza dei fiumi Mekong Don. Non vanta particolari attrazioni, se si escludono pochi edifici rimasti dall’epoca coloniale.
Il vicino plateau di Bolaven vi ammalierà con la sua bellezza e vi infonderà pace. Questo altopiano si estende a cavallo delle quattro province meridionali del paese ad un’altitudine compresa tra i 1.000 e i 1.300 metri. E’ costellato da una fertile e rigogliosa vegetazione, meravigliose cascate, diversi fiumi, estese piantagioni di caffè e tè, sferzato da un clima fresco e temperato e irrorato da copiose piogge.

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Non mancate di visitare le cascate di Tat Fan, alimentate da due torrenti che emergono all’improvviso dalla foresta e precipitano per più di 120 metri, originando il fiume Huey Bang Lieng. Includete nel vostro tour anche le vicine cascate di Tat Gneuang, scenografiche e immerse nel verde di un lussureggiante parco dove è possibile trascorrere la giornata facendo un pic-nic in compagnia. Questa cascata nasce da due torrenti che corrono paralleli e si gettano con un salto di 40 metri a strapiombo nella selvaggia giungla sottostante.
laven sono il gruppo etnico più numeroso che abita questo altopiano (Bolaven significa infatti ‘casa del laven’), ma questo plateau è abitato anche da altre minoranze quali i mon-khmer, gli alak, katu, tahoy, suay.
I francesi furono i primi a piantare il caffè, gli alberi della gomma e i banani su questo altopiano agli albori del XX secolo. ll piccolo paese di Paksong è considerato la capitale laotiana del caffè. Svetta a 1.300 metri di altezza su un fertile suolo scuro, eredità di un antico vulcano ormai estinto.
Visitate le piantagioni di tè e caffè e non mancate di degustare una tazza fumante di Lao coffee alla fine del vostro tour. Scoprite qualcosa in più su CPC, la Cooperativa di Produttori di Caffè dell’Altopiano di Bolaven costituitasi nel 2007 con l’obiettivo di ottenere un miglior accesso al mercato globale del caffè per i piccoli produttori locali. Per saperne di più: http://www.cpc-laos.org

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Foto di Emiliano Allocco (Link alla pagina Flickr di Emiliano)